Ci sono tante ragioni per continuare a festeggiare il Primo Maggio. Nonostante il lavoro che manca,il lavoro nero che aumenta ,il calo dell’occupazione femminile,i giovani “Neet “che non studiano e non lavorano, la precarietà esistenziale. Niente da festeggiare dunque. Eppure il 1 maggio continua ad essere il simbolo,l’unico rimasto, della centralità del lavoro nella Costituzione repubblicana. A ricordare quella centralità non c’è un discorso pubblico continuo coerente con l’art.1 della Costituzione,non ci sono state le scelte economiche e non c’è stata la rappresentanza politica del lavoro.
Non si spiegherebbe altrimenti il livello dei salari italiani tra i più bassi dei paesi Ocse.
Anche in questi giorni in cui si discute del nuovo Governo a cui Sel non ha dato la fiducia perchè non è il governo di cambiamento che serve all’Italia, il centro della scena è stato conquistato dalle priorità imposte da chi ne detiene la golden share, il Pdl.
La bandiera della cancellazione dell’IMU su qualunque abitazione di qualunque pregio, 2 miliardi di costo per 6 mesi, è stata innalzata come e più che in campagna elettorale mentre l’Istat continua a sfornare cifre sempre più preoccupanti sui livelli di disoccupazione e non si capisce ancora dove si recuperi il miliardo e mezzo necessario per rifinanziare la Cig in deroga. Per descrivere questa realtà si è parlato di solitudine del lavoro. Ma questa definizione non dice di come venga negato il rapporto tra dignità del lavoro, diritti del lavoro e uscita dalla crisi.
Perfino quando entrano nel vocabolario corrente le parole della materialità della crisi della vita di tante persone, cassa integrazione in deroga,esodati, precari della P.A., a quelle parole non si lega l’idea del valore del lavoro.
Abbiamo alle nostre spalle anni in cui la crisi è stata negata. Poi affrontata con le ricette liberiste del meno regole ,meno diritti, tagli lineari e abbiamo alle spalle lunghi mesi del governo Monti in cui ci si è attardati a discutere di come licenziare più facilmente,come cambiare le regole del mercato del lavoro anziché di politiche industriali ,energetiche,ecc…
Senza che ciò fruttasse né un posto di lavoro in più né la riduzione del debito.
La crisi globale ed europea in Italia è stata amplificata da problemi strutturali antichi:dal peso dell’illegalità diffusa e dell’economia sommersa che rappresenta il 17% del Pil ,dall’assenza di investimenti pubblici e privati in ricerca e innovazione ,dalla dimensione delle imprese,dal modello di specializzazione produttiva .Ma anziché agire su cui nodi si è scelto di ridurre il costo del lavoro e la libertà del lavoro. Anche oggi che pure tutti riconoscono l’esigenza di sanare le situazioni estreme come gli esodati,la Cig in deroga la scadenza dei contratti della P.A. ,non si riconosce che quelle emergenze nascono anche e soprattutto da errori ,dall’aver coltivato per anni la convinzione che fosse il costo del lavoro il terreno su cui competere e il “buonismo sociale il male da sconfiggere per citare il Presidente Monti. Da questa cultura politica sono alimentate le due leggi Fornero: l’austerity europea ha avuto in Italia non esecutori reticenti ma entusiasti maestri.
Anche il governo Letta che pure nomina la priorità del lavoro non tocca questo tema, che è quello della direzione di marcia diversa per uscire dalla crisi. Non a caso nel discorso sulla fiducia si parla della legge Fornero per annunciare l’allentamento di vincoli sui contratti a termine ma non del superamento della precarietà delle 46 forme di avvio al lavoro o della legge sulla rappresentanza per riconoscere alle persone il diritto di voto anche nei luoghi di lavoro. E non a caso la citazione del reddito minimo è lontano dal suo significato europeo di strumento di autonomia per le persone ed è relegato a strumento di lotta alla povertà.
Dunque anche per questo il 1 maggio è la festa del lavoro: per riportare il suo valore al centro del cambiamento necessario.