Signor Presidente, signori e signore del Governo, colleghi e colleghi. Io annuncio il voto del gruppo Sinistra Ecologia Libertà sulla ratifica della Convenzione di Istanbul, che mi piace nominare in tutta la sua espressione, Convenzione per la prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne e la violenza domestica. Perché, come si diceva ieri, le parole hanno un significato ed è un voto a favore, un voto che noi esprimiamo con tutta la forza, il sentimento, la passione, l’energia che sono risuonate nelle parole, ieri, di Claudio Fava, Marisa Nicchi, Celeste Costantino, Annalisa Pannarale e, oggi, di Arturo Scotto. Lo facciamo ad occhi aperti, in un momento in cui la sequenza terribile di nomi, di fatti, di visi, di femminicidi sembra sopraffare e sopraffarci. Lo facciamo ad occhi aperti, non perché non vediamo e non sappiamo come in sé la ratifica della Convenzione non determini automaticamente un risultato. Lo sappiamo che non è così, ma invitiamo, invito tutti e tutte a non sottovalutare il significato politico grandissimo che ha oggi questa ratifica. È un errore sminuirne il valore.
Intanto ha un significato politico enorme. Nel contesto europeo è stato detto: la Convenzione è stata fatta due anni fa e a due anni da tale data la Convenzione non è ancora operativa, perché delle dieci ratifiche necessarie ne sono state fatte soltanto quattro da Albania, Montenegro, Portogallo, Turchia. La ratifica dell’Italia non è solo un fatto simbolicamente rilevante, è un fatto necessario, nel momento in cui l’Italia si impegna, come si è impegnata, come ha detto di voler fare, a farsi promotrice e a sollecitare le ratifiche degli altri Paesi. Ma lo è anche per la costruzione degli Stati Uniti d’Europa, che non possono esser soltanto un mercato, ma uno spazio politico pubblico di diritti, in cui la libertà femminile diventa non soltanto una scelta, ma la scelta per uscire dalla crisi.
È un atto di grande significato politico anche per un’altra ragione, perché avviene in un tempo in cui, lo dicevamo tutti, in nome di Fabiana, di Carolina, la morte per mano maschile di tante ragazze, di tante donne, succede ogni giorno, nel tempo in cui Rashida Manjoo indica l’Italia come luogo dell’emergenza nazionale sulla violenza. Ma sono anche i tempi e i giorni in cui le cifre della crisi, gli annunci dei suicidi, degli operai, dei lavoratori, degli imprenditori, consegnano un quadro così difficile. Ecco, che in questo tempo il Parlamento italiano scelga di considerare come priorità la violenza contro le donne e la ratifica della Convenzione di Istanbul, consentitemi, non era scontato, ed è un atto importante, che va detto fuori di qui. È questo il messaggio che deve essere veicolato nella Rete, nella stampa e noi siamo responsabili del fatto che questa notizia venga veicolata così e che sia una priorità. In questo stesso tempo di crisi noi vorremmo che lo diventi, per la stessa ragione, la lotta contro l’omofobia, contro la transfobia e per i diritti delle coppie gay.
Ed è un atto politico rilevante la ratifica della Convenzione, per i suoi contenuti, perché fa emergere il discorso pubblico europeo e mette al centro del discorso pubblico italiano la dimensione politica della violenza nei confronti delle donne.
Non una dimensione individuale, di chi esercita la violenza e di chi la subisce. Se la violenza ha una dimensione politica, la responsabilità pubblica ha il dovere di affrontarla, per tante ragioni, in primis per questa: la dimensione politica cioè di quella incapacità, di quella faccia oscura della relazione tra i sessi, di quella incapacità dei maschi, della sessualità maschile di riconoscere l’autonomia e la libertà delle donne, quella mescolanza di subalternità e dominio di cui dicevamo.
Guardate che i contenuti della Convenzione parlano anche di un’altra cosa: parlano di un ordine fondato sul dominio del corpo delle donne, di un ordine intero, e, quindi, della necessità del suo cambiamento. Un cambiamento – vorrei dire e voglio dire con molta forza – che deve e può essere guidato dalle donne, insieme agli uomini. Ma la Convenzione ci apre una strada, ci consegna molte responsabilità e molti impegni. Alcuni impegni sono già tracciati dalla Convenzione, sono chiari, presuppongono atti di indirizzo, una legge, alcuni li citava, li annunciava la Ministra Idem, quando parlava della task force per coordinare gli interventi, quando parlava dell’Osservatorio sulla violenza.
Ma ci sono altri impegni necessari e sono necessari se si dà seguito alla volontà di prevenire la violenza, nelle sue radici, in quel binomio di subalternità e dominio che ieri la Presidente Laura Boldrini ci indicava quando, all’inizio della seduta, parlava del femminicidio di Fabiana. Perché se è vero che la violenza contro le donne è alimentata dalla differenza di potere tra uomini e donne, allora il tema, il contrasto di quella violenza sta nell’aumentare, nel rendere forti le donne: aumentare la loro libertà – a proposito di legge n. 194 e del fatto che venga continuamente ostacolata.
Ma soprattutto i contenuti della Convenzione parlano di lavoro e reddito e, guardando all’Italia per una Convenzione europea, guardando all’Italia, parlano di quelle cifre di disoccupazione femminile, di quella faccia femminile della precarietà, ed è per questo che ieri noi abbiamo nominato le dimissioni in bianco e la necessità che ci sia una legge efficace contro le dimissioni in bianco, perché – lo dice l’ISTAT in una indagine non recente e, quindi, sottostimata – un milione di donne all’inizio del loro rapporto di lavoro, nel momento dell’ingresso, subiscono un ricatto sessuale che non denunciano, che il 99 per cento non denuncia. Allora lì il grumo dei problemi sta nella differenza, non soltanto di potere tra un uomo e una donna, ma tra chi offre il lavoro e chi in quel momento è sottoposto al ricatto del lavoro, è lì che il ricatto sessuale agisce. Se allora quella è una radice della violenza, lì bisogna agire e bisogna ricordarsene quando si parla di lavoro, di reddito minimo, quando si parla della formazione dei lavoratori e delle lavoratrici del pubblico impiego, a cui peraltro si tagliano le risorse.
E se è vero che la radice della violenza sta nell’incapacità degli uomini a relazionarsi con un rapporto tra uguali, tra persone libere e non tra persone soltanto proiezione di un desiderio, se è così, allora è la scuola il luogo in cui agire per costruire una cultura differente di rispetto, perché è lì che si forma la coscienza civica, è lì che si forma l’identità. Se è vero che l’uso del corpo delle donne nei media, nella pubblicità alimenta la violenza, è lì che bisogna intervenire. E consentitemi – lo avete detto in tanti ieri – cosa c’entra il moralismo con questo? Nulla, anzi c’è il rispetto della bellezza, non il moralismo. Se è vero che la fragilità e la solitudine delle donne vanno combattute con reti di sostegno, allora i finanziamenti ai centri antiviolenza non posso essere centellinati ed essere sottoposti all’iniziativa del singolo ente locale. Lì ci vuole una scelta strutturata che dia certezza a quelle reti che sono state per molto tempo l’unico sostegno delle donne, l’unico sostegno delle donne e della loro solitudine.
E c’è bisogno di uno sguardo che non sia strabico, che non sia quello che abbiamo sentito in quest’Aula ieri e oggi e che magari non ci sarà più domani, quando parleremo di un altro argomento. Perché per recuperare l’autorevolezza della politica, la distanza che c’è tra le persone e la politica, bisogna raggiungere questo: sobrietà e coerenza.
E concludo, signor Presidente, con i ringraziamenti, doverosi, importanti, che mi sento di fare con tutto il cuore. Intanto voglio farlo nei confronti dei movimenti delle donne e delle associazioni delle tante donne singole che hanno chiesto e sostenuto la richiesta della ratifica. Poi voglio farlo nei confronti della Commissione; voglio farlo nei confronti della relatrice, che ha iniziato ieri la sua relazione nominando l’onore di poter portare avanti una proposta così importante. Sono convinta che di onore si tratti, di una proposta veramente importante. Vorrei ringraziare lei, Presidente, il cui coraggio sicuramente è stato decisivo nel «rendere» questa proposta oggi in Parlamento e speriamo che al Senato ci sia la stessa celerità. Penso che questo è quanto noi dobbiamo veicolare al Paese, in rete, sulla stampa. Sinistra Ecologia Libertà, siccome è una forza, come si dice, responsabile sempre, esercita in questo la propria responsabilità, nel veicolare questo messaggio.
L’ha ribloggato su Sinistra Ecologia Libertà Treviso.