Dopo diversi proclami, il governo Letta ha varato il così detto “piano lavoro”, che punta particolarmente sull’occupazione giovanile.
Prima di entrare nel merito bisogna fare una premessa: per uscire dalla crisi sono necessarie misure forti e importanti, soprattutto sul tema del lavoro. Questo presuppone l’esigenza di scelte politiche che siano frutto di un’idea politica chiara. E’ per questo che crediamo che il governo delle “grandi intese” oggi e il governo Monti ieri, non possano affrontare questa sfida, ma anzi che queste strane maggioranze siano destinate a creare pasticci (come per l’appunto le due riforme Fornero), poiché figlie di visioni politiche diverse ed inconciliabili. Le scelte politiche insomma non possono essere slegate dalla visione politica.
Come di consuetudine anche questo decreto è stato preceduto ed accompagnato da grandi proclami che prospettavano la creazione di ben 200 mila posti di lavoro per i giovani. Ci saremmo dunque aspettati misure che stimolino la domanda di lavoro.
Nel decreto ci sono sgravi fiscali per l’assunzione di personale con meno di 30 anni e per la trasformazione di contratti a tempo determinato in tempo indeterminato. Per quanto il principio che si incentivino contratti di lavoro stabili sia giusto, appurato che (come dicono ormai tutte le statistiche) la precarietà abbassa la produttività; è chiaro che questo provvedimento non creerà i posti di lavoro annunciati. Come dimostrano ad esempio Boeri e Anastasia (Lavoce.info), defiscalizzazioni di questo tipo fatte negli scorsi anni, vanno per la maggior parte a beneficio di imprese che avrebbero già in precedenza assunto o stabilizzato personale. Inoltre parliamo di incentivi possibili fino all’esaurimento dei fondi disponibili, ed è difficile che un imprenditore assuma a tempo indeterminato solo per accedere all’incentivo (che poi magari per esaurimento del fondo potrebbe non essere erogato).
Ci troviamo di fronte quindi al solito fraintendimento: come ci ha già dimostrato la riforma Fornero, modificare le regole del mercato del lavoro (tipologia di contratti, incentivi fiscali ecc..) non crea di per sé un solo porto di lavoro in più.
Anche rispetto al programma europeo dello youth garantee sono state create molte aspettative. E’ importante che l’Italia acceda a questo fondo, ma non è di per sé risolutivo, poiché il programma si basa sull’implementazione dei centri per l’impiego, per conciliare al meglio domanda e offerta, quindi presuppone che i singoli stati facciano la propria parte sul piano della domanda, cioè della creazione di lavoro, cosa che l’Italia non sta facendo.
E’ chiaro dunque che spacciare queste misure come risolutive al 41% di giovani senza lavoro e ai due milioni di Neet che ci sono in Italia, è una presa in giro.
La vera svolta politica capire come creare nuova occupazione. Noi proponiamo un “piano verde per il lavoro” che tramite un impiego di risorse pubbliche in economia crei direttamente occupazione e stimoli investimenti privati per la messa in sicurezza del territorio, delle strade, delle scuole, per la salvaguardia del patrimonio artistico e ambientale; che crei benessere e lavoro “pulito”.
Qualcuno potrebbe obiettare che non ci sono le risorse, ma anche questa è una grande bugia, perché possono essere trovate ad esempio con nuovo ruolo Cassa depositi e prestiti, dal contrasto all’evasione (l’economia sommersa è oltre 17 per cento del Pil), dall’aumento della tassazione delle rendite finanziarie, dalla lotta agli sprechi, introducendo una patrimoniale, solo per fare alcuni esempi.
Non è più il tempo dell’attesa e dei proclami, il presente e il futuro di tanti giovani (e meno giovani) non aspetta.