Premessa
Nella settimana l’unico provvedimento votato alla Camera e stato il decreto lavoro E’ iniziata invece giovedì la discussione generale sul decreto sulle tossicodipendenze che si concluderà nella settimana successiva.
Il clima politico prevalente è ormai quello della campagna elettorale connotata da un lato dai toni urlati del movimento 5 stelle (di nuovo all’attacco della Presidente della Camera) e dall’altro dai toni depressi ma ugualmente aggressivi di Forza Italia. Ma sarebbe un errore annoverare nel catalogo dei toni elettorali la polemica all’interno della maggioranza sul decreto lavoro. Si tratta di un argomento su cui emergono al contrario in modo netto le differenti visioni dei partiti che sostengono il governo: partito democratico da un lato e Nuovo centro destra dall’altro . L’esito del contrasto però non è un buon decreto, ma come naturale conseguenza di un governo di piccole intese, la riduzione del danno di un pessimo e inutile decreto che non servirà a creare un posto di lavoro in più. Dalla stessa contrapposizione nasce lo scippo della nostra legge contro le dimissioni in bianco approvata alla Camera qualche giorno fa con il voto contrario del Movimento 5 stelle, del Nuovo centro destra e di Scelta Civica. Al Senato il senatore Sacconi, presidente della Commissione lavoro, con il voto favorevole del Partito Democratico ha inserito la legge nel binario morto della legge delega sul lavoro. Un vero sopruso ai danni di una proposta di legge di civiltà, portata in aula da Sinistra ecologia e libertà con procedura d urgenza “in quota opposizione” che è un modo per indicare il diritto dell’opposizione di chiedere che un certo numero di disegni di leggi di propria iniziativa sia esaminata dall’aula. Per questo è appropriato definire scippo la scelta della maggioranza al Senato.
Decreto lavoro
Abbiamo votato contro questo decreto legge su cui il Governo ha posto la fiducia. Per l’ennesima volta si modificano le regole del mercato del lavoro. Critichiamo sia il metodo che il merito di questa scelta. Si è deciso di procedere con due velocità: il passo breve e subito efficace della decretazione d’urgenza per modificare due tipologie contrattuali, (i contratti a termine e l’apprendistato, oltre i contratti di solidarietà su cui comunque poteva essere fatto di più) e il passo lungo e incerto della legge delega al Senato per il riordino complessivo del mercato del lavoro. Qui rileviamo il primo paradosso di questo decreto: che senso ha modificare due tipologie contrattuali se dall’altro lato si mette in cantiere un provvedimento che dovrebbe riordinare complessivamente tutto il sistema in cui sono inserite (che fra l’altro è quello che auspichiamo da tempo)? Ma l’inutilità di questo decreto a nostro avviso è resa evidente soprattutto dal contesto in cui esso si inserisce: un mondo del lavoro che non riesce ad uscire dalla crisi, in cui la disoccupazione continua ad aumentare ed in particolare quella giovanile che in alcune regioni raggiunge il 50% dei ragazzi e delle ragazze. In questo contesto l’urgenza è la creazione di nuovo lavoro, l’investimento su settori strategici che possano rilanciare l’economia, dalla ricerca per rimettere sul mercato tante piccole e medie imprese messe in ginocchio dalla crisi, a investimenti sulla messa in sicurezza del territorio contro il dissesto idrogeologico e per la salvaguardia del patrimonio artistico e culturale del nostro Paese, che creano lavoro nuovo e pulito. Si sceglie invece ancora una volta di modificare le regole con cui si può assumere, le modalità di avvio al lavoro, le tipologie contrattuali in linea con quanto fatto in precedenza dagli ex ministri del lavoro Giovannini e Fornero, con quindi anche il riscontro delle precedenti riforme che non hanno creato un solo posto di lavoro in più. Si sceglie inoltre di incentivare l’utilizzo dei contratti a termine facendo finta di non vedere il dato che ci dice che attualmente gli avviamenti al lavoro sono al 70% veicolati da contratti a termine, disciplina così modificata in questi anni che ha avuto bisogno anche di una direttiva europea che individuasse il contratto a tempo indeterminato come forma naturale del rapporto di lavoro, direttiva con cui secondo noi questo decreto entra in conflitto, motivo per cui abbiamo presentato la pregiudiziale di costituzionalità nelle scorse settimane. In sostanza si sostituisce al contratto a tempo indeterminato il contratto a termine, esattamente il principio contrario a quello della carta dei diritti fondamentali di Nizza alla base della costituzione europea. Si punta quindi sull’obiettivo di alzare il livello di precarietà nel mercato del lavoro, che nel nostro Paese è già molto alto: sono più di 40 le tipologie contrattuali con cui è possibile assumere per un lavoro subordinato a tempo determinato, a cui vanno aggiunte le forme opache di finto lavoro subordinato nascosto dal lavoro autonomo. Puntare su questo non vuol dire soltanto continuare a condannare tantissimi ragazzi e ragazze all’incertezza lavorativa e quindi anche esistenziale ma, come ci dice ad esempio l’OCSE, vuol dire abbassare in modo misurabile la produttività di un’impresa e del sistema produttivo tutto: rende i lavoratori meno motivati e produttivi e soprattutto incentiva una competizione al ribasso legata alla svalutazione del lavoro e dei diritti legati al lavoro e non alla qualità e all’innovazione. Un serio riordino del mercato del lavoro dovrebbe eliminare le miriadi di forme contrattuali e lasciare le 5-6 forme utili di contratti per assumere nei diversi contesti a seconda delle esigenze. Se la necessità oggettiva è quella dunque di creare lavoro e contrastare la disoccupazione e la precarietà questo decreto, sia come strumento che per il contenuto, è la cosa peggiore che si potesse fare e da cui è emersa chiaramente una maggioranza con idee contrastanti, senza una visione complessiva per uscire dalla crisi e creare lavoro.
In discussione generale sono intervenuti Titti Di Salvo e Ciccio Ferrara. La dichiarazione sul voto di fiducia è stata fatta da Ciccio Ferrara. La dichiarazione di voto è stata fatta da Giorgio Airaudo.