Premessa
Nella settimana alla Camera si sono votati in prima lettura il:
Disegno di legge di riforma della governance della Rai e il decreto per la fruizione dei beni culturali (di cui di seguito l’approfondimento). La discussione politica è stata tutta concentrata soprattutto sui contenuti della legge di stabilità che inizierà al Senato il suo iter e che commenteremo sulla base del testo. Ma durante la discussione sul dl cultura i rimandi alla legge di stabilità sono stati continui perché la legge contiene un cambio di approccio agli investimenti in cultura coerente con l’art. 1 del decreto che inserisce nella Costituzione la fruizione e la valorizzazione del patrimonio culturale tra i diritti nell’esercizio dei quali è necessario garantire livelli essenziali di prestazione. La legge di stabilità infatti prevede: l’assunzione di 500 persone (storici dell’arte, restauratori, bibliotecari ecc..) ; l’aumento delle risorse per il Mibac dell’8 per cento nel 2016 e del 10 per cento nel 2017; viene reso strutturale l’Art bonus, vengono stanziate nuove risorse per musei e archivi. Il decreto cultura non contiene invece nessun attacco al diritto di sciopero come invece è stato detto dalle opposizioni che hanno scelto di non commentare i 2 articoli del decreto e hanno preferito lanciare anatemi su norme che il decreto non contiene. Ma, al suo articolo 2, contiene l’inserimento tra i servizi pubblici essenziali della fruizione dei beni culturali. Nei i servizi pubblici essenziali si applica la legge 146 sul diritto di sciopero emanata nel 1990 per tenere insieme i diritti di chi lavora e produce un servizio con quelli di chi usufruisce del servizio. Delle due l’una: o ad essere sbagliata è la funzione della legge 146/90 in sè oppure i beni culturali non sono bene pubblico.
Disegno di legge S. 1880: Riforma della RAI e del servizio pubblico radiotelevisivo (Approvato dal Senato) (A.C. 3272-A) ed abbinate (A.C. 420-2846-2922-2924-2931-2942)
Il disegno di legge approvato in prima lettura alla Camera costituisce il primo segmento della riforma dell’intero sistema radiotelevisivo : per costruire il servizio pubblico del futuro infatti bisogna porre le condizioni per una governance che accompagni la trasformazione della RAI da broadcaster a media company, che la renda capace di essere presente e produrre contenuti per tutte le piattaforme, che sappia tenere conto delle enormi trasformazioni che hanno attraversato il sistema dei media audiovisivi e radiofonici di questi anni, un servizio pubblico con una particolare attenzione all’innovazione tecnologica. La TV continua a esercitare nel nostro Paese un vero e proprio primato tra i media. Nel 2014 il tempo medio trascorso dagli italiani ogni giorno davanti alla TV ammonta a 4 ore e 20 minuti, in aumento di 4 minuti e 42 secondi al giorno pro-capite rispetto al 2008. Siamo secondi solo agli Stati Uniti. Il 70 per cento dell’opinione pubblica si forma innanzi alla TV. La RAI risulta a tutt’oggi, e nonostante il web, il principale operatore televisivo, raggiungendo ancora il 40 per cento degli ascoltatori totali. Nel provvedimento grande spazio viene dato alla formulazione delle funzioni dell’Amministratore Delegato perché la prima condizione per valorizzare il “ruolo industriale” della RAI è quella di dotarla di una guida chiara, riconosciuta, trasparente, efficiente, responsabilizzata: un capo azienda che sia in grado di prendere le decisioni e di essere chiamato a risponderne. Serve una guida manageriale vera, come quella di ogni altro player internazionale. Approfondisci qui
Disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 146 del 2015: Misure urgenti per la fruizione del patrimonio artistico e culturale della Nazione (A.C. 3315-A)
Col decreto-legge si inseriscono nei livelli essenziali di prestazioni i beni culturali, il patrimonio culturale, la fruizione del patrimonio culturale: in attuazione dell’articolo 9 della Costituzione, la tutela, la fruizione e la valorizzazione del patrimonio culturale rientrano tra i livelli essenziali delle prestazioni di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, cioè tra quelle prestazioni che lo Stato deve garantire su tutto il territorio nazionale. Già nel 2009 il Partito Democratico, il 24 marzo e per molti giorni prima e dopo, chiese e rivendicò esattamente questo: che la cultura venisse inserita nella Costituzione, nei livelli essenziali delle prestazioni. Disse di «no» a questa rivendicazione l’allora Ministro Calderoli, sulla scia de “con la cultura non si mangia” di Tremontiana memoria. Scrivere «livelli essenziali di prestazione» vuol dire che, per assicurare quei livelli, dovranno essere messe a disposizione risorse finanziarie e umane e che gli enti locali avranno questo vincolo da qui in avanti. Il decreto, nel secondo punto, chiarisce che l’apertura al pubblico di musei e luoghi della cultura rientra tra i servizi pubblici disciplinati dalla legge n. 146 del 1990 riguardante l’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, cioè in quei servizi volti alla tutela di diritti costituzionalmente garantiti. Vengono inseriti dunque non solo nei livelli essenziali di prestazione, ma anche nei servizi pubblici essenziali con l’obiettivo quindi di regolare i diritti delle persone con i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici. L’inserimento della fruizione dei luoghi della cultura tra i servizi pubblici essenziali non comporta quindi la negazione dei diritti sindacali, sanciti in primis dall’articolo 40 della Costituzione, ma unicamente la loro regolamentazione, per contemperarne il godimento con i diritti degli utenti, al pari di quanto già avviene in altri settori, come il trasporto pubblico o la scuola. Approfondisci qui