Premessa
Nella settimana la Camera ha votato: una proposta di legge per l’abbattimento delle barriere architettoniche, una per per contrastare il finanziamento delle imprese produttrici di mine antipersona, di munizioni e submunizioni a grappolo; una mozione che riguarda la candidatura di Milano quale sede dell’Agenzia europea per i medicinali e la Nota di aggiornamento del documento di economia e finanza 2017.
Questa settimana è emersa grazie ad un servizio delle Iene andato in onda domenica scorsa, la storia di una giovane collaboratrice parlamentare che ha accusato un deputato, l’On Caruso, di averla fatta lavorare in nero senza contratto e di averle anche fatto delle avance a sfondo sessuale.
Ci sono due aspetti che emergono da questa triste vicenda: quello della responsabilità individuale del deputato per l’abuso di potere esercitato nelle diverse forme: da quella particolarmente odiosa delle molestie sessuali, al lavoro non pagato. Una responsabilità che va sanzionata anche per il discredito che proietta su tutto il Parlamento.
C’è poi il tema dell’insufficienza delle regole attuali nel tutelare la figura professionale del collaboratore parlamentare e quindi l’urgente necessità di regole più stringenti da definire subito prima della fine della legislatura.
Per 2 anni di seguito ho presentato a nome del gruppo del Partito democratico un odg, approvato durante la discussione del bilancio della Camera il 2 agosto 2016 che allego di seguito
“Ordine del Giorno 9/Doc. VIII, n. 8/097presentato da DI SALVO Titti testo di Martedì 2 agosto 2016, seduta n. 666
La Camera, premesso che:
i collaboratori parlamentari contribuiscono in modo spesso essenziale all’esercizio del mandato del membro del Parlamento, attraverso il supporto all’attività legislativa, di comunicazione e di segreteria;
nelle passate legislature gli organi competenti di Camera e Senato hanno provveduto a dettare alcune disposizioni relative a rapporti che intercorrono tra parlamentari e i loro collaboratori, cercando di circoscrivere gli abusi, ma senza intervenire con una disciplina organica, indispensabile per colmare un vuoto regolamentare nei confronti di una figura che è normata nella quasi totalità degli Stati democratici e nell’Unione europea;
il Parlamento europeo, infatti, già dal 25 settembre 2005 ha adottato lo «Statuto dei parlamentari del Parlamento europeo» (2005/684/CE, Euratom), che all’articolo 21 reca disposizioni in materia di assistenti dei parlamentari;
un passo incoraggiante sembrava essere stato compiuto in sede di approvazione del bilancio lo scorso anno, con l’accoglimento dell’ordine del giorno 9/Doc.VIII, n. 6/87 a prima firma Di Salvo, in cui si dava mandato al Collegio dei Questori di approfondire, «riferendo quanto prima all’Ufficio di Presidenza, i termini giuridici, economici, organizzativi e contabili di una disciplina del rapporto di lavoro tra deputato e collaboratore» nonché di «assumere le opportune iniziative affinché, con riferimento ai contratti di collaborazione parlamentare depositati presso i competenti uffici della Camera dei deputati, sia dato sapere il numero complessivo di tali contratti, la percentuale diversificata delle relative tipologie contrattuali e la media degli emolumenti corrisposti»;
al momento a questi impegni non risulta essere stato dato seguito;
appare ormai essenziale giungere ad una definizione e regolamentazione della figura del collaboratore parlamentare, azione invocata anche dall’opinione pubblica e dagli organi di stampa,
invita, per le rispettive competenze, l’Ufficio di Presidenza e il Collegio dei Questori a valutare l’opportunità di:
avviare, di concerto con le associazioni maggiormente rappresentative costituite dai collaboratori parlamentari, un percorso che consenta la regolamentazione di tale figura, anche al fine di impedire il perpetrarsi di situazioni di abuso;
definire, onde consentire la massima trasparenza ed efficienza nell’utilizzo delle risorse pubbliche, un progetto di riforma dell’attuale sistema basato sul rimborso delle spese per l’esercizio del mandato, prendendo come modello quello applicato nel Parlamento europeo e individuando a tal fine una specifica voce di bilancio cui siano destinate idonee risorse.”
Di fronte all’ennesima denuncia bisogna dare un segnale in questa direzione e il modo più veloce per farlo è una delibera dell’Ufficio di Presidenza.
Proposta di legge: D’Incecco ed altri: Disposizioni per il coordinamento della disciplina in materia di abbattimento delle barriere architettoniche (A.C. 1013-A); e dell’abbinata proposta di legge: Dorina Bianchi (A.C. 1577)
La proposta di legge approvata il 3 ottobre dalla Camera dei deputati è volta a prevedere l’emanazione di un regolamento ove far confluire, coordinare e aggiornare le vigenti prescrizioni tecniche per l’eliminazione delle barriere architettoniche per gli edifici pubblici e privati e per gli spazi e i servizi pubblici o aperti al pubblico o di pubblica utilità. Si riprende il testo di una proposta di legge già esaminata ed approvata in sede legislativa dalla VIII commissione Ambiente della Camera nella precedente legislatura, al termine di un approfondito lavoro istruttorio. Secondo i dati Istat in Italia ci sono 3 milioni di persone diversamente abili, secondo il Censis sarebbero addirittura più di 4 milioni. Nonostante questi dati, il nostro, purtroppo, non è ancora un Paese a misura di disabilità e questo per diverse ragioni, in particolare quella di cui stiamo discutendo oggi, quella delle barriere architettoniche, che impediscono alle persone diversamente abili di usufruire delle strutture e dei servizi come dovrebbero. Come ha affermato la relatrice del provvedimento Chiara Braga (PD), «il tema dell’accessibilità degli spazi pubblici e privati a partire dalle persone con disabilità attiene alla qualità della vita dell’intera comunità. Case, scuole, luoghi di lavoro, spazi pubblici universalmente accessibili sono uno dei presupposti per l’effettivo esercizio del diritto di cittadinanza». Questo provvedimento affonda le sue radici proprio nei principi fondamentali della nostra Costituzione, all’articolo 3. Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha dichiarato il 29 settembre 2017: «Non è difficile rimuovere gli ostacoli che impediscono a tutti di usufruire degli spazi comuni. Spesso basta poco: una porta più larga, uno scivolo, una pedana, qualche attrezzatura, dei parcheggi di auto dedicati e rispettati. Basta poco perché si possa accedere alle scuole, a un cinema, a un teatro, a un ufficio». Abbattere le barriere architettoniche si può fare ovunque. Sono state approvate delle norme di legge importanti. Bisogna fare degli altri passi, anzitutto per la loro effettiva attuazione. La strategia europea sulla disabilità 2010-2020 ha l’obiettivo di rendere beni e servizi accessibili a tutti e, quindi, di abbattere le barriere. È un obiettivo che ovviamente anche l’Italia intende perseguire con questo intervento normativo. Approfondisci qui
Proposta di legge: S. 57 – D’iniziativa dei senatori: Amati ed altri: Misure per contrastare il finanziamento delle imprese produttrici di mine antipersona, di munizioni e submunizioni a grappolo (A.C. 4096)
Sono prima di tutto i bambini le vittime delle mine antipersona e delle cosiddette bombe a grappolo presenti in numerosi Paesi anche molti anni dopo la conclusione dei conflitti che avevano indotto a collocare tali ordigni sul territorio. Ed è per questo che affrontare il tema ha una duplice valenza, morale e civile.
L’Italia, in questi anni, è stata capace di passare dall’essere il maggior Paese produttore ed esportatore di mine, ad uno dei Paesi maggiormente impegnato al mondo nella messa al bando di queste armi. Sul piano internazionale, l’Italia ha firmato e ratificato, con la legge 26 marzo 1999, n. 106, la Convenzione di Ottawa sul divieto di impiego, di stoccaggio, di produzione e di trasferimento delle mine antipersona e sulla loro distruzione; la Convenzione di Oslo, ratificata dall’Italia con la legge 4 luglio 2011, n. 95, sulle munizioni a grappolo, o cluster munition (CCM), che proibisce l’uso, lo stoccaggio, la produzione e il trasferimento di munizioni a grappolo e che prevede, inoltre, l’assistenza alle vittime, la bonifica delle aree contaminate e la distruzione delle scorte. Sul piano nazionale la legge 29 ottobre 1997, n. 374, approvata prima della stipula della Convenzione di Ottawa, oltre a stabilire divieti che superano anche quelli previsti dalla citata Convenzione, prevede aspre sanzioni penali per i trasgressori.
La legge, approvata definitivamente dalla Camera il 3 ottobre 2017, va inquadrata quindi in linea di continuità sostanziale con i provvedimenti adottati fino ad ora e ha l’obiettivo di estendere il campo di azione e di controllo già compiutamente definito dalle leggi 106/1999 e 95/2011, introducendo il divieto di finanziamento e di sostegno alle imprese produttrici di mine antipersona, munizioni e submunizioni cluster da parte delle banche e degli altri soggetti operanti nel settore finanziario. Gli istituti di credito italiani, a differenza di altri istituti stranieri, non sono coinvolti direttamente in finanziamenti alle produzioni di queste armi ma, pur dotandosi, in alcuni casi, di policy stringenti, non riescono ad assicurare che realtà presenti in alcuni Fondi – non direttamente gestiti – possano effettivamente escludere società coinvolte nella produzione di tali armi, bandite nel nostro Paese, ma prodotte ancora in Paesi terzi. La ratio della legge approvata è proprio questa: evitare che il divieto di produzione di queste armi bandite sul territorio nazionale possa essere aggirato attraverso sofisticati meccanismi finanziari che ne facilitano la produzione nei territori esteri. «È questa una legge – ha sottolineato il relatore Federico Ginato (PD) – che apre scenari nuovi nel campo della cosiddetta finanza sostenibile. Per la prima volta, si disciplinano le modalità con le quali lo Stato e le Autorità di vigilanza possono porre forti limitazioni, in un campo certamente molto specifico, ad una finanza che, in questo caso, si pone, purtroppo, al servizio di un’economia che nega la dignità dell’uomo … Sono piccoli segnali, che però mi auguro servano ad aprire e ad allargare un dibattito, anche parlamentare, sulle finalità e le modalità di operare del mondo finanziario». Approfondisci qui
Discussione delle mozioni Quartapelle Procopio, Laforgia, Lupi, Abrignani, Marazziti, La Russa, Pisicchio, Monchiero, Alfreider, Locatelli, Binetti ed altri n. 1-01714, Rondini ed altri n. 1-01715, Gelmini ed altri n. 1-01718, Grillo ed altri n. 1-01719 e Daniele Farina ed altri n. 1-01720 concernenti la candidatura di Milano quale sede dell’Agenzia europea per i medicinali
“Il sostegno della candidatura di Milano a ospitare EMA, che si trasferisce da Londra a seguito di Brexit, è senza dubbio una di queste sfide. Quella dello sviluppo farmaceutico è una delle industrie a più alto tasso di innovazione e di ricerca e l’Agenzia che regola questo settore è la seconda più grande al mondo. Certamente ospitare EMA è un’opportunità di investimento e di lavoro, neanche troppo astratta, visto che è stata già quantificata in un valore annuo di 133 milioni di euro, con 2 mila aziende, consulenti e fornitori di servizi, che potrebbero raggiungere la nuova sede che ospiterà EMA. Ed è un’opportunità straordinaria per posizionare l’Italia sulla frontiera produttiva di uno dei settori strategici per lo sviluppo industriale del futuro.” Continua a leggere la dichiarazione di voto – Leggi il testo della mozione
Esame della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2017 (Doc. LVII, n. 5-bis)
“Io credo che bisogna andare al ricordo della discussione di aprile sul DEF. L’interrogativo era: come si potranno sterilizzare le norme di salvaguardia per il 2018, l’aumento dell’IVA e delle accise, rispettando gli obiettivi di finanza pubblica e facendo politiche per la crescita? Veniva da molti descritta come una missione impossibile. Nell’autunno il Governo avrebbe dovuto svelare il bluff. Nella risoluzione approvata dai due rami del Parlamento c’era la risposta e l’indicazione di come agire: si impegnava il Governo a continuare a promuovere una strategia di riforma degli orientamenti di politica economica e finanziaria prevalenti in sede comunitaria, volta a conferire, anche attraverso un confronto con gli organismi comunitari finalizzato a rendere meglio compatibile il percorso di progressivo avvicinamento all’obiettivo di medio termine, una maggiore centralità alla crescita economica, all’occupazione e all’inclusione sociale, cioè in sostanza lavorare per ottenere più spazio di manovra in accordo con la Commissione europea. Molti scommettevano sul fatto che non ce l’avremmo fatta ad avere il consenso sulla correzione dell’obiettivo dell’1,2 per cento di deficit nel 2018 e invece il Governo ce l’ha fatta e ha il consenso europeo a portare l’indebitamento netto dall’1,2 all’1,6 nel 2018, dallo 0,2 allo 0,9 nel 2019, dallo 0 allo 0,2 nel 2020. Spetta ora al Parlamento cogliere questa opportunità, votando la relazione presentata dal Governo per permettere l’aggiornamento del piano di rientro verso l’obiettivo di medio termine, cioè la possibilità di rendere più praticabile il sentiero stretto tra politiche per la crescita e aggiustamento della finanza pubblica con l’obiettivo principale di ridurre il rapporto debito-PIL.” Continua a leggere la dichiarazione di voto