Eccoci, ci risiamo. Non c’è bastato chiamarli “sfigati” “choosy” “bamboccioni” “mammoni”, ogni volta che si apre il capitolo del lavoro e della disoccupazione giovanile, lo scivolone è dietro l’angolo: i giovani devono essere più umili, rivalutare i lavori “manuali” e “antichi”, la scuola e l’università devono preparare al lavoro, dare lavoro, creare lavoro. La Polverini ieri, ad una trasmissione in cui anche io ero ospite su skytg24, ha addirittura detto che “non si trova più chi fa il pane la notte”, che i giovani si mettano ad impastare, insomma.
Tutto questo di fronte alla generazione più formata di sempre ai danni della quale, come ci dice il rapporto di save the children ieri, è stato operato un vero e proprio furto di futuro, è veramente insopportabile.
Uno perché la scuola, l’università e la ricerca non sono e non possono diventare schiavi delle logiche del lavoro e del mercato del lavoro. La conoscenza deve rendere liberi. Questa affermazione la ripetiamo così spesso che sembra quasi retorica. Ma non è così. Prendiamo ad esempio un ragazzo o una ragazza che a 15 anni, tramite la scandalosa normativa esistente sull’apprendistato, si inserisce in un percorso professionalizzante e impara a fare l’estetista. A 16 anni sarà fuori dalla scuola (a dire il vero già dai 15 non ci metteva più piede) avrà imparato un mestiere, saprà fare delle splendide cerette. Ma se ad un certo punto della sua vita, vorrà decidere di cambiare mestiere o di cambiare la sua vita, o dovrà affrontare delle difficoltà dettate da fenomeni esterni come il calo di domanda in quel settore lavorativo, che speranze ha di reinventarsi? Questo ragazzo sarà mai libero? Avrà mai gli strumenti adatti per interpretare il contesto che ha intorno?
Per questo sono per alzare l’obbligo scolastico a 18 anni. Per dare a tutti la possibilità di avere delle conoscenze di cittadinanza.
Alzare l’obbligo non vuol dire però tenere gli studenti in questa scuola fino a 18 anni. Va cambiato il sistema scolastico, partendo proprio dall’eliminare questa inutile dicotomia fra conoscenze e competenze, fra manuale ed intellettuale, fra lavori “umili” e lavori “colti”. Collegare la scuola al mondo del lavoro, ma in maniera sana, tutelando l’autonomia della scuola e rinnovando il mondo del lavoro.
E qui arrivo al punto numero due. Ma con che coraggio, il Pdl, dopo aver con l’ex ministro dell’istruzione Mariastella Gelmini (ora in commissione cultura ed istruzione) smantellato l’istruzione tecnica e professionale, arriva oggi a discutere di quanto è importante collegare la scuola al mondo del lavoro? Non sono forse stati loro a tagliare drasticamente le ore di laboratorio? Non sono forse stati loro a inasprire la canalizzazione precoce e a dividere nettamente licei e istituti tecnici, marcando la differenza fra scuole di serie A B e C? Non sono forse stati loro ad introdurre la possibilità di assolvere l’obbligo scolastico nell’apprendistato?
Che la Polverini lo vada a chiedere agli istituti alberghieri, che prima della riforma Gelmini funzionavano bene, se i giovani non hanno voglia di impastare e cucinare.