Nota sui lavori parlamentari settimane dal 10 al 21 Aprile

By April 22, 2017 Lavoro parlamentare

Premessa

In queste settimane la camera ha approvato: un provvedimento per il contrasto dell’immigrazione illegale; una mozione in materia di liste d’attesa per le prestazioni del Servizio sanitario nazionale ed esercizio della libera professione intramoenia; una mozione in materia di politiche attive del lavoro, con particolare riferimento al potenziamento dei centri per l’impiego ed è stata approvata la proposta di legge in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento, il così detto “testamento biologico”.
Questo provvedimento, atteso da diversi anni, affronta due questioni di grande rilevanza: il tema del consenso informato ai trattamenti sanitari e del modo in cui può essere espresso e revocato, e quello delle disposizioni anticipate di trattamento, le cosiddette DAT, con le quali il dichiarante esprime i propri orientamenti sul “fine vita”, nell’ipotesi in cui in futuro sopravvenga una sua perdita irreversibile della capacità di intendere e di volere.
Si tratta di una legge che rientra in una visione “mite” del diritto. È cioè una legge “di principi” e non contiene un’elencazione puntuale di situazioni, cosa peraltro non realizzabile, considerando tutte le fattispecie possibili.
Il principio da cui è partire è quello stabilito dall’articolo 32 della Costituzione, e cioè che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.
Il provvedimento, che alla sua base ha innanzitutto la relazione tra medico e paziente, non si riferisce solo alle ipotesi di fine vita, ma a tutti i casi in cui si è sottoposti ad un esame o ad una terapia o ad un intervento chirurgico. In tali ambiti, l’intento è quello di dare finalmente certezza all’azione di medici e operatori sanitari, facendo tesoro delle migliori prassi messe in atto in questi anni, nonostante il vuoto legislativo in cui essi sono stati costretti a muoversi.
Parliamo dunque di un intervento “stabilizzatore” del legislatore. Un intervento che da oltre un decennio è presente nei principali paesi europei e che da tempo è fortemente sollecitato anche nel nostro Paese proprio da quanti lavorano nel settore sanitario, così come dalla giurisprudenza e da una larga parte dell’opinione pubblica.
In sintesi, gli aspetti principali della legge riguardano il consenso informato, le disposizioni anticipate di trattamento (DAT) e la pianificazione condivisa delle cure. Tra i punti fondamentali ci sono il fatto che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata. Il medico è tenuto quindi a rispettare la volontà espressa dal paziente. Sono previste norme a tutela dei minori e degli incapaci. In previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi, ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere può esprimere le proprie convinzioni e preferenze in materia di trattamenti sanitari e di scelte diagnostiche o terapeutiche, comprese le pratiche di nutrizione e idratazione artificiali. Infine, nel caso di una patologia cronica e invalidante o caratterizzata da una inarrestabile evoluzione con prognosi infausta, il provvedimento prevede che ci possa essere una pianificazione delle cure condivisa tra il paziente e il medico, pianificazione alla quale il medico stesso sarà tenuto ad attenersi qualora il paziente venga a trovarsi nella condizione di non poter esprimere il proprio consenso o si trovi in una condizione di incapacità.

Disegno di legge: S. 2705 – Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, recante disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell’immigrazione illegale (A.C. 4394)

La Camera ha convertito in legge il decreto-legge n. 13 del 2017, recante «Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e di contrasto della immigrazione illegale», un provvedimento che, al fine di rispondere all’eccezionale afflusso di migranti e al significativo aumento di richieste di protezione internazionale, registratosi negli anni 2013- 2016, prevede misure incisive per definire con tempi rapidi e procedure efficaci, nel pieno rispetto dei diritti e delle garanzie costituzionali, chi ha diritto di restare e chi deve essere rimpatriato. Rispetto ai tempi medi di esame di circa due anni, le norme approvate permetteranno di valutare rapidamente la domanda di protezione internazionale, superando le attese legate alle lentezze procedurali e, al contempo, offrendo anche l’opportunità di un impegno, su base volontaria, a favore della comunità da cui si è ospitati. Ciò avverrà mediante l’istituzione di sezioni specializzate in materia di migrazione, protezione internazionale, libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea nelle quali i magistrati, dotati di specifiche competenze e ai quali verrà assicurata una formazione continua dedicata, potranno rispondere all’esigenza di assicurare una maggiore celerità ai ricorsi giurisdizionali. Con la medesima finalità, viene modificato anche il rito processuale applicabile a questo tipo di controversie. È vero che viene eliminato un grado di giudizio, ma si consente, contestualmente, la massima emersione della storia personale di chi si trova nella drammatica situazione di dovere richiedere la protezione internazionale. Quanto all’aspetto legato al contrasto all’immigrazione illegale sono introdotte norme per accelerare le procedure di identificazione e di definizione della posizione giuridica di cittadini extra UE, nonché misure di contrasto dei trafficanti di uomini e dell’immigrazione illegale. Viene inoltre potenziata la rete delle strutture di accoglienza, da una parte, e accoglienza e rimpatri, dall’altra con nuovi a maggiori investimenti sia in termini di risorse economiche, sia in termini di nuove e qualificate assunzioni di personale. Non si avranno più pochi ed enormi centri di accoglienza, ma strutture di piccole e medie dimensioni, presenti su tutto il territorio nazionale, in luoghi individuati dopo avere sentito i Presidenti di Regione, dove il rispetto per la dignità della persona non sarà una condizione eventuale e dove i tempi del trattenimento massimo saranno assolutamente definiti. Approfondisci qui

Mozioni Grillo ed altri n. 1-01563, Rondini ed altri n. 1-01581, Palese ed altri n. 1-01584, Binetti ed altri n. 1-01585, Brignone ed altri n. 1-01586, Fossati ed altri n. 1-01587, Vargiu ed altri n. 1-01588, Lenzi ed altri n. 1-01592, Bosco e Scopelliti n. 1-01593 e Gullo ed altri n. 1-01595 in materia di liste d’attesa per le prestazioni del Servizio sanitario nazionale ed esercizio della libera professione intramoenia

La lista d’attesa viene vissuta come un’ingiustizia se pagando la prestazione lo stesso medico, con le stesse attrezzature, eroga la prestazione in tempi rapidi in regime di intramoenia, rispetto alla corsia istituzionale. Questo ci dice di una ingiustizia, perché, quando si sta male, è difficile sopportare anche le prudenti scale di priorità che le regioni più efficienti riescono a garantire. Ma è bene essere chiari: le liste d’attesa non sono attribuibili all’attività intramoenia. Anzi, è diffuso il ricorso all’acquisto di prestazioni assicurate dei medici in intramoenia per abbattere almeno in parte le liste d’attesa. Per affrontare questo problema già il “Patto per la salute” ha fissato impegni precisi che le regioni, con l’aiuto di AgeNaS, devono attuare anche in applicazione del Piano nazionale sul contenimento delle liste d’attesa. Non è un tema nuovo tant’è vero che numerose regioni hanno già sperimentato innovazioni organizzative per affrontare il problema e l’hanno anche risolto. Le buone pratiche non mancano, penso all’Emilia Romagna, e in questi giorni anche alla regione Lazio che ha presentato un analogo piano. Molte regioni, a dire il vero tutte dovrebbero averlo fatto, erano tenute a predisporre il piano in attuazione di quello nazionale, ma sono indispensabili alcune condizioni perché trovi compiuta attuazione. La prima è rappresentata dall’applicazione di compiuti percorsi dell’appropriatezza delle prestazioni. La seconda è rappresentata dalla presenza di organici del personale che siano commisurati all’effettivo fabbisogno.
Il ricorso all’intramoenia dovrebbe corrispondere alla libera scelta del cittadino di farsi curare da un determinato medico con il quale è attiva una relazione di cura, non è la scorciatoia per evitare le carenze organizzative dei servizi resi nell’ambito dell’attività istituzionale, e tanto meno può diventare la via obbligata per ottenere la prestazione in tempi rapidi. Purtroppo però sappiamo che anche la recente ricerca del Censis afferma che due terzi degli italiani che si rivolgono all’intramoenia per evitare le liste d’attesa. È una distorsione che ci trasciniamo da oltre dieci anni a causa dell’inerzia delle regioni nell’attuazione delle riforme che si sono succedute.
La relazione presentata nel 2016 relativa al 2014 traccia un quadro di gravi ritardi nell’attuazione in più di metà delle regioni italiane. Applicare la riforma equivale a fare trasparenza, a rimuovere le differenze di opportunità di accesso ai servizi sanitari, significa creare uguaglianza.

Mozioni Dell’Aringa, Palladino ed altri n. 1-01319, Cominardi ed altri n. 1-01533, Palese ed altri n. 1-01534, Sberna ed altri n. 1-01535, Placido ed altri n. 1-01538, Simonetti ed altri n. 1-01539, Rizzetto ed altri n. 1-01541, Francesco Saverio Romano ed altri n. 1-01543, Baldassarre ed altri n. 1-01564, Gelmini e Occhiuto n. 1-01590 e Mottola ed altri n. 1-01591 concernenti iniziative in materia di politiche attive del lavoro, con particolare riferimento al potenziamento dei centri per l’impiego

La proposta di modifica della Carta costituzionale che è stata bocciata con il referendum del 4 dicembre prevedeva nel nuovo Titolo V il trasferimento delle competenze legislative in materia di lavoro in via esclusiva allo Stato. Non solo: inseriva per la prima volta nel testo della Carta l’espressione “politiche attive del lavoro”, come riconoscimento dell’importanza di queste politiche del lavoro, che sono entrate a pieno titolo nel complesso di misure economiche e sociali dei Paesi più evoluti, come caposaldo dell’intervento pubblico nel funzionamento del mercato del lavoro. Soprattutto nei Paesi europei vicini a noi le politiche attive accompagnano e si integrano con le cosiddette politiche passive, cioè con gli interventi di sostegno del reddito delle persone in difficoltà, senza lavoro o in cerca di ricollocazione. Questi lavoratori devono certamente essere aiutati in termini economici, ma devono essere anche aiutati a cercare il nuovo posto di lavoro: la ricerca attiva è in tutti i Paesi condizione per ottenere il sostegno del reddito. Nel nostro Paese, nonostante gli sforzi consistenti operati col Jobs Act, che ha dato frutti notevoli, sul fronte delle politiche attive registriamo ancora qualche ritardo. Mentre in altri Paesi, come è stato detto, le spese per questi interventi sono altrettanto importanti quanto quelle sostenute per il sostegno dei redditi, nel nostro Paese c’è una sproporzione: mentre in rapporto al PIL spendiamo in linea con gli altri Paesi per quanto riguarda le politiche passive, per quanto riguarda le politiche attive siamo senz’altro sotto la media dei Paesi europei. Alcune ricerche nazionali e internazionali mettono in luce come il cosiddetto incontro tra domanda ed offerta di lavoro nel nostro Paese sia difficoltoso e problematico: ci sono squilibri rilevanti e, se venissero rimossi, si otterrebbe un aumento dell’occupazione, anche in periodi di difficoltà economica come quello attuale. La nostra struttura dei centri per l’impiego sul territorio non è sufficiente, sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo. Anche in questo caso, come in altri campi del welfare, come la sanità, la scuola, l’assistenza, occorre trovare un giusto mix fra pubblico e privato nel campo delle politiche attive, e, in particolare in quella dell’intermediazione, bisogna riconoscere che il ruolo pubblico è alquanto ridotto oggi in Italia, è quasi marginale: questa è una stortura che va corretta. Nell’attuale quadro di competenza legislativa concorrente, è essenziale la definizione, in accordo tra Stato, regioni e province autonome, di linee di indirizzo e di obiettivi puntuali dell’azione amministrativa ed è cruciale il ruolo di Anpal come di Anpal Servizi, cioè l’ex Italia Lavoro, come soggetti che predispongono gli strumenti comuni che consentono il coordinamento dell’azione finalizzata al raggiungimento di tali obiettivi. Oltre ad assicurare le risorse necessarie ad ANPAL e soprattutto le risorse umane, che devono essere impiegate con rapporti di lavoro stabili – questa è la condizione perché questi rapporti di lavoro siano anche produttivi -, occorre anche assicurare all’ex ISFOL, cioè l’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche, risorse adeguate per lo svolgimento e valutazione delle politiche del lavoro e dei servizi per il lavoro, ivi inclusa la verifica del raggiungimento degli obiettivi da parte degli ANPAL. Occorre un forte coordinamento tra strutture regionali e strutture nazionali, senza il quale partiamo con un grave handicap, nella prospettiva anche di iniziative europee.

Testo unificato delle proposte di legge: Mantero ed altri; Locatelli ed altri; Murer ed altri; Roccella ed altri; Nicchi ed altri; Binetti ed altri; Carloni ed altri; Miotto ed altri; Nizzi ed altri; Fucci ed altri; Calabrò e Binetti; Brignone ed altri; Iori ed altri; Marzano; Marazziti ed altri; Silvia Giordano ed altri: Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento (A.C. 1142-1298-1432-2229-2264-2996-3391-3561-3584-3586-3596-3599-3630-3723-3730-3970-A)

QUADRO NORMATIVO
La presente legge ha i suoi riferimenti costituzionali negli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione italiana e negli articoli 1 (Dignità umana), 2 (Diritto alla vita) e 3 (Diritto all’integrità della persona) della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000.
È da tempo che si riconosce l’esistenza di un principio consensualistico nei trattamenti sanitari. In questo senso si è pronunciata anche la Corte Costituzionale (con la sentenza n. 438/20081, e da ultimo con la sentenza n. 262/2016). Con la legge n. 145 del 28 marzo 2001, l’Italia ha ratificato la Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina (la “Convenzione di Oviedo” del 1997), che tra le altre cose stabilisce, all’articolo 9, che le volontà anticipate espresse da un paziente che si trova poi ad affrontare un intervento sanitario debbano essere tenute in considerazione. La necessità che il paziente sia posto in condizione di conoscere il percorso terapeutico si evince, altresì, da diverse leggi nazionali che disciplinano specifiche attività mediche: ad esempio, dall’articolo 3 della legge 21 ottobre 2005, n. 219 (Nuova disciplina delle attività trasfusionali e della produzione nazionale degli emoderivati), dall’articolo. 6 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), nonché dall’articolo 33 della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale).
Da sottolineare che in occasione dell’esame del provvedimento si è svolta un’indagine conoscitiva nel corso della quale sono stati auditi il Comitato nazionale per la bioetica, l’Istituto superiore di sanità, il Consiglio superiore di sanità, il Centro nazionale trapianti, la Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, l’Associazione nazionale comuni italiani (Anci), nonché diverse Associazioni rappresentative del personale medico e sanitario, docenti universitari ed esperti della materia. Tutte queste audizioni hanno fornito dati e testimonianze di grande interesse, contribuendo a ricostruire il contesto normativo e giurisprudenziale.

CONSENSO INFORMATO
Il testo unificato approvato intende tutelare il diritto alla vita, alla salute e alla dignità e all’autodeterminazione della persona e stabilisce che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne nei casi espressamente previsti dalla legge.
Con questo provvedimento si intende promuovere e valorizzare la relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico. Punto centrale di tale relazione diviene appunto il consenso informato, attraverso il quale il paziente manifesta la propria autonomia decisionale e il medico risponde con la propria competenza, autonomia professionale e responsabilità. In tale relazione sono coinvolti, se il paziente lo desidera, anche i suoi familiari o la parte dell’unione civile o il convivente ovvero una persona di sua fiducia. Contribuiscono alla relazione di cura, in base alle rispettive competenze, gli esercenti una professione sanitaria che compongono l’équipe sanitaria.
Viene disciplinato il diritto all’informazione, qualificato come il diritto di ogni persona di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo completo, aggiornato e a lei comprensibile su: la diagnosi; la prognosi; i benefici e i rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati e le possibili alternative; le conseguenze dell’eventuale rifiuto del trattamento sanitario e dell’accertamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi. Ogni persona può comunque rifiutare in tutto o in parte di ricevere le informazioni ovvero indicare i familiari o un’altra persona di sua fiducia incaricati di riceverle e di esprimere il consenso in sua vece se il paziente lo vuole. Il rifiuto o la rinuncia alle informazioni e l’eventuale indicazione di un incaricato sono registrati nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico.

MODALITÀ DI MANIFESTAZIONE DEL CONSENSO INFORMATO
Il consenso informato è acquisito nei modi e con gli strumenti più consoni alle condizioni del paziente, è documentato in forma scritta o attraverso videoregistrazioni o, per la persona con disabilità, attraverso dispositivi che lo consentano. In qualunque forma sia stato espresso, il consenso dovrà poi essere inserito nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico.

DIRITTO DI RIFIUTO E REVOCA DEL CONSENSO
Ogni persona capace di agire può esercitare il diritto al rifiuto in tutto o in parte, di qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal medico per la sua patologia o singoli atti del trattamento stesso; ha, inoltre, il diritto di revocare in qualsiasi momento il consenso prestato, anche quando la revoca comporti l’interruzione del trattamento. Ai fini della presente legge, sono da considerarsi trattamenti sanitari la nutrizione artificiale e l’idratazione artificiale, in quanto somministrazione, su prescrizione medica, di nutrienti mediante dispositivi medici.
Qualora il paziente esprima la rinuncia o il rifiuto di trattamenti sanitari necessari alla propria sopravvivenza, il medico prospetta al paziente e, se questi acconsente, anche ai suoi familiari, le conseguenze di tale decisione e le possibili alternative e promuove ogni azione di sostegno al paziente medesimo, anche avvalendosi dei servizi di assistenza psicologica.
L’accettazione, la revoca e il rifiuto sono sempre annotati nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico.

IL RUOLO DEL MEDICO
Il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciare al medesimo e, in conseguenza di ciò, è esente da responsabilità civile o penale. Il paziente non può comunque esigere trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali e a fronte di tali richieste e solo queste, il medico non ha obblighi professionali.
Nelle situazioni di emergenza o di urgenza il medico e i componenti dell’équipe sanitaria assicurano le cure necessarie, nel rispetto della volontà del paziente ove le sue condizioni cliniche e le circostanze consentano di recepirla.
Il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura. Si tratta di una affermazione importante che mira a superare l’ eccesso di burocrazia
Ogni struttura sanitaria pubblica o privata garantisce con proprie modalità organizzative la piena e corretta attuazione della legge, assicurando l’informazione necessaria ai pazienti e l’adeguata formazione del personale.
La formazione iniziale e continua dei medici e degli altri esercenti le professioni sanitarie comprende la formazione in materia di relazione e di comunicazione con il paziente, di terapia del dolore e di cure palliative.
È fatta salva l’applicazione delle norme speciali che disciplinano l’acquisizione del consenso informato per determinati atti o trattamenti sanitari, ad esempio la normativa sulla sperimentazione scientifica di farmaci.

TERAPIA DEL DOLORE, DIVIETO DI OSTINAZIONE IRRAGIONEVOLE NELLE CURE E DIGNITÀ NELLA FASE FINALE DELLA VITA
Il medico, avvalendosi di mezzi appropriati allo stato del paziente, deve adoperarsi per alleviarne le sofferenze, anche in caso di rifiuto o di revoca del consenso al trattamento sanitario indicato dal medico. A tal fine, è sempre garantita un’appropriata terapia del dolore, con il coinvolgimento del medico di medicina generale e l’erogazione delle cure palliative di cui alla legge 15 marzo 2010, n. 38.
Nel caso di paziente con prognosi infausta a breve termine o di imminenza di morte, il medico deve astenersi da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure e dal ricorso a trattamenti inutili o sproporzionati. In presenza di sofferenze refrattarie ai trattamenti sanitari, il medico può ricorrere alla sedazione palliativa profonda continua in associazione con la terapia del dolore, con il consenso del paziente.
Il ricorso alla sedazione palliativa profonda continua o il rifiuto della stessa sono motivati e sono annotati nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico.

MINORI E INCAPACI
La persona minore o incapace ha diritto alla valorizzazione delle proprie capacità di comprensione e di decisione, nel rispetto dei diritti previsti. Deve ricevere informazioni sulle scelte relative alla propria salute in modo consono alle sue capacità per essere messa nelle condizioni di esprimere la sua volontà.
In questi casi, il consenso informato al trattamento sanitario è espresso o rifiutato da coloro che esercitano la responsabilità genitoriale o dal tutore; si dovrà tuttavia tenere conto della volontà della persona minore, in relazione alla sua età e al suo grado di maturità, e avendo come scopo la tutela della sua salute psicofisica e della sua vita nel pieno rispetto della sua dignità.
Si procede in maniera analoga nel caso di persone interdette ai sensi dell’articolo 414 del codice civile, con il consenso che sarà espresso o rifiutato dal tutore, sentito l’interdetto ove possibile e nel pieno rispetto della sua dignità.
Il consenso informato della persona inabilitata è espresso dalla stessa persona inabilitata o dal rappresentante legale di persona minore. Nel caso in cui sia stato nominato un amministratore di sostegno la cui nomina preveda l’assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, il consenso informato è espresso o rifiutato anche dall’amministratore di sostegno ovvero solo da quest’ultimo, tenendo conto della volontà del beneficiario, in relazione al suo grado di capacità di intendere e di volere.
Il giudice tutelare interviene nella decisione, su ricorso del rappresentante legale della persona interessata, o dei soggetti di cui agli articoli 406 e seguenti del codice civile, o del medico o del rappresentante legale della struttura sanitaria, allorché il rappresentante legale di persona minore o interdetta o inabilitata oppure l’amministratore di sostegno, in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento (DAT), rifiuti le cure proposte e il medico ritenga invece che queste siano appropriate e necessarie.

DISPOSIZIONI ANTICIPATE DI TRATTAMENTO (DAT)
Ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere, in previsione di una eventuale futura incapacità di autodeterminarsi, e dopo aver acquisito adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle sue scelte, può esprimere, attraverso le DAT, le proprie convinzioni e preferenze in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte.
Come si evince espressamente dai lavori preparatori, il legislatore ha inteso fare ricorso ad un linguaggio che possa risultare di facile comprensione sia per i medici sia per i pazienti, non casuale è stata la scelta del termine “disposizioni” ritenuto più vincolante rispetto al termine “dichiarazioni”.

IL RUOLO DEL FIDUCIARIO
Si potrà inoltre indicare una persona di propria fiducia, denominato fiduciario, che “faccia le veci e rappresenti il paziente nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie”.
Il fiduciario deve essere una persona maggiorenne e capace di intendere e di volere. L’accettazione della nomina da parte del fiduciario avviene attraverso la sottoscrizione delle DAT o con atto successivo, allegato alle DAT, delle quali il fiduciario ha copia. Il fiduciario può rinunciare alla nomina con atto scritto, comunicato al disponente. L’incarico del fiduciario può essere revocato dal disponente in qualsiasi momento, con le stesse modalità previste per la nomina e senza obbligo di motivazione.
Un caso particolare previsto dal legislatore è quello in cui le DAT non contengano l’indicazione del fiduciario o questi vi abbia rinunciato o sia deceduto o sia divenuto incapace: le DAT mantengono efficacia in merito alle volontà del disponente. In caso di necessità, il giudice tutelare provvede alla nomina di un amministratore di sostegno, ai sensi degli articoli 404 e ss. del Capo I, Titolo XII del codice civile.

IL MEDICO E LE DAT
Il medico è tenuto al rispetto delle DAT, le quali tuttavia possono essere disattese in tutto o in parte dal medico stesso, in accordo con il fiduciario qualora le DAT appaiano palesemente incongrue o non corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente, ovvero sussistano terapie non prevedibili all’atto della sottoscrizione capaci di offrire concrete possibilità di miglioramento delle condizioni di vita. Si tratta di una norma di buon senso conseguente alla scelta di non mettere alle DAT una data di scadenza, quindi è necessario tener conto di fattori quali le nuove cure o delle inadeguatezza delle DAT.

REDAZIONE DELLE DAT
Le DAT devono essere redatte per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, ovvero per scrittura privata consegnata personalmente dal disponente presso l’ufficio dello stato civile del Comune di residenza del disponente medesimo, che provvede all’annotazione in apposito registro, ove istituito, oppure presso le strutture sanitarie, qualora ricorrano i presupposti previsti. Nel caso in cui le condizioni fisiche del paziente non lo permettano, le DAT possono essere espresse attraverso videoregistrazione o dispositivi che consentono alla persona con disabilità di comunicare. Con le medesime forme esse sono rinnovabili, modificabili e revocabili in ogni momento. Nei casi in cui ragioni di emergenza e urgenza impedissero di procedere alla revoca delle DAT con le forme previste, queste possono essere revocate con dichiarazione verbale raccolta e videoregistrata da un medico, con l’assistenza di due testimoni.
Le Regioni che adottano modalità telematiche di gestione della cartella clinica o il fascicolo sanitario elettronico o altre modalità informatiche di gestione dei dati del singolo iscritto al Servizio sanitario nazionale possono, con proprio atto, regolamentare la raccolta di copia delle DAT, compresa l’indicazione del fiduciario, e il loro inserimento nella banca dati, lasciando comunque al firmatario la libertà di scegliere se darne copia o indicare dove esse siano reperibili. Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge, il Ministero della salute, le Regioni e le aziende sanitarie provvedono a informare della possibilità di redigere le DAT, anche attraverso i rispettivi siti web.

PIANIFICAZIONE CONDIVISA DELLE CURE
All’evolversi delle conseguenze di una patologia cronica e invalidante o caratterizzata da inarrestabile evoluzione con prognosi infausta, può essere realizzata una pianificazione delle cure condivisa tra il paziente e il medico, alla quale quest’ultimo e l’equipe sanitaria sono tenuti ad attenersi qualora il paziente venga a trovarsi nella condizione di non poter esprimere il proprio consenso o in una condizione di incapacità. Si tratta di una procedura già in atto in alcuni hospice per le cure palliative e che ha dato buoni riscontri, anche per la rassicurazione insita nel patto di non essere né traditi nelle proprie aspettative né abbandonati.
Il medico dovrà tenere adeguatamente informato il paziente – e, con il suo consenso, i suoi familiari o la parte dell’unione civile o il convivente ovvero una persona di sua fiducia – a proposito del possibile evolversi della patologia in atto, di quanto il paziente può realisticamente attendersi in termini di qualità della vita, delle possibilità cliniche di intervenire, delle cure palliative.
Nel corso delle cure, il paziente esprime il proprio consenso rispetto a quanto proposto dal medico e i propri intendimenti per il futuro, compresa l’eventuale indicazione di un fiduciario.
Il consenso del paziente e l’eventuale indicazione di un fiduciario sono espressi, al pari delle DAT, in forma scritta ovvero, nel caso in cui le condizioni fisiche del paziente non lo permettano, attraverso videoregistrazione o dispositivi che consentano alla persona con disabilità di comunicare. Consenso e indicazione sono inseriti nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico. La pianificazione delle cure può essere aggiornata al progressivo evolversi della malattia su richiesta del paziente o su suggerimento del medico.

NORMA TRANSITORIA
Una disposizione transitoria sancisce l’applicabilità delle disposizioni della legge ai documenti contenenti la volontà del disponente circa i trattamenti sanitari depositati presso il Comune di residenza o davanti a un notaio prima dell’entrata in vigore della legge stessa, stabilendo quindi la sua l’efficacia retroattiva. Le amministrazioni pubbliche interessate provvedono all’attuazione delle disposizioni della presente legge nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a disposizione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

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