Ieri, dopo mesi di discussione, è stata approvata la nostra mozione per il contrasto alla povertà in cui si impegna il governo a avviare in Italia il reddito minimo sulla base della risoluzione europea del 2010. Ecco il testo della mozione.
Ecco il video del mio intervento
[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=a4YzvvlF5Gs]Signor Presidente, ci sono delle cifre che parlano più di molte parole, ne sono risuonate tante in quest’Aula, sia quando abbiamo fatto la discussione sulle linee generali, sia ancora adesso. Quando in un Paese di sessanta milioni di abitanti – questo dice l’ultimo censimento – ci sono dieci milioni di poveri, persone che hanno condizioni di povertà relativa, e cinque milioni di persone in povertà assoluta, mettere a confronto queste cifre con il numero delle persone che sono in Italia, dà il senso dell’enormità di ciò di cui stiamo parlando.
Un’enormità che va poi anche arricchita di un racconto: le persone che sono in povertà assoluta sono spesso donne in pensione, magari con una lunga vita lavorativa alle spalle e pensioni da 500 euro; sono bambini. La Commissione per l’infanzia sta facendo un’indagine conoscitiva e cominciano a venire fuori dati che già erano conosciuti, ma che acquisiscono oggi una dimensione straordinariamente preoccupante. Dietro quelle cifre vi sono lavoratori, lavoratori poveri, vi è un’Italia che, via via, è scivolata verso la china, il piano inclinato della povertà.
Ma, quando noi descriviamo questa Italia, parliamo di una democrazia fortemente a rischio. La povertà non è soltanto un dato sociologico o un dato economico: è un dato democratico. Un Paese come l’Italia, che è tra le potenze industriali e che convive con questo livello così grande di povertà dei bambini, delle donne, degli anziani, è un Paese che rischia che la rabbia travolga le sue istituzioni, travolga il suo assetto democratico, perché la politica non risponde e al suo posto vi è la rabbia.
Ma è anche il Paese in cui il 10 per cento delle famiglie possiede il 50 per cento della ricchezza; è anche il Paese in cui i CEO, i capitani d’azienda, guadagnano, all’ora, 957 euro, il doppio dei CEO tedeschi, quasi il doppio dei CEO inglesi. Il livello di disuguaglianza, unito alla raffigurazione che facevo prima, rende urgente, per noi, passare dal commento, dal racconto, dalla rappresentazione dell’Italia, agli interventi per superare quelle disuguaglianze. Certo, nessuno pensa che tutto ciò possa essere risolto con un colpo di bacchetta magica, però noi chiediamo e vi chiediamo di non fermarsi semplicemente né al racconto né all’indignazione e nemmeno al compatimento, nel senso di patire insieme, nel senso greco.
Si tratta di capire perché siamo arrivati qui, perché, se non si capisce perché, siPag. 106rischia semplicemente di agire, con magari ottima volontà, per ridurre il numero delle persone in difficoltà, non per cambiare le scelte che hanno prodotto la povertà, le scelte macroeconomiche, quella politica non più a guida della finanza, ma quella finanza che ha guidato la politica, per scendere all’austerity tecnocratica, per scendere alle conseguenze di scelte, appunto, economiche e politiche, macroeconomiche, globali ed europee, che, agli occhi di tutti, non hanno risolto la crisi, l’hanno aggravata e hanno prodotto in Italia, ma anche in altri Paesi – pensate alla Grecia, pensate alla Spagna, pensiamo alla nostra situazione – un livello di «rottura» sociale che ha le caratteristiche che dicevo prima.
Ma poi, venendo a noi, vi sono le scelte. Quali scelte ? È possibile raffigurarci come un Paese che, semplicemente, ha sofferto le conseguenze di scelte su cui non incideva ? Non è giusto neppure questo punto, non è giusto neppure, io penso, assolverci scaricando la croce sull’austerità tecnocratica europea, che pure c’è, o sulla globalizzazione non guidata dalla politica, che pure c’è, sulla riforma degli organismi internazionali, che pure va fatta, o sulle regole del WTO, che pure vanno cambiate.
Non è giusto neanche questo, perché non è vero. Infatti, di fronte a quelle cifre, a quel quadro che descrivevo prima, vi sono scelte della politica italiana che hanno determinato tale situazione, come quando si riduce il fondo sociale, i fondi sociali; come quando si tagliano le risorse e i trasferimenti agli enti locali; come quando si realizza una legge, come quella Fornero, che, inevitabilmente, se non si interviene a cambiarla, condanna i giovani di oggi ad essere futuri pensionati poveri, su cui, poi, bisognerà intervenire per correggere quella povertà; come quando si immagina che la competizione delle imprese debba avvenire sul piano dei costi e non della politica industriale, sul piano della precarietà e non delle scelte di abbattimento dei costi di sistema.
Vi sono delle scelte che abbiamo fatto noi, che ha fatto il sistema italiano che non solo non hanno contrastato la povertà, ma che hanno portato fino qui. E allora dobbiamo pensare a come si correggono quelle scelte. Noi abbiamo delle opinioni precise sia su come deve cambiare questo modello di sviluppo europeo e globale, come si deve creare lavoro, come si deve vincere la precarietà ridando valore al lavoro, come bisogna ridare una speranza ai giovani e sia su come bisogna reinventare uno Stato sociale che deve parlare alle persone e sostenere la loro autonomia. Perché il tema del non lasciare sole le persone, le donne, i giovani, gli anziani, è il tema che deve guidare la riscrittura dello Stato sociale italiano. Lo Stato sociale è stata la scelta dell’Europa sociale, insieme al grande ruolo che le organizzazioni e i corpi intermedi hanno avuto nella costruzione dell’Europa. Dobbiamo pensare agli Stati Uniti d’Europa, alla democrazia delle sue istituzioni e dobbiamo pensare, anche e soprattutto, a difendere quell’Europa sociale. Per difenderla non serve la retorica europea, serve modernizzare lo Stato sociale qui in Italia e in Europa. E allora il tema dell’autonomia delle persone, come chiave di riscrittura dello Stato sociale, è il tema. Ed è per questo che noi da tempo parliamo di reddito minimo, cioè di uno strumento di inclusione, di sostegno all’autonomia delle persone, che riesce anche, nel momento in cui si realizza, ad essere una chiave di difesa dal ricatto del lavoro precario e del lavoro nero. La pensiamo così, e siamo convinti che le risoluzioni europee, e particolarmente quella del 2010 che finalmente ha superato la contrapposizione spesso ideologica sui piani su cui era meglio agire – bisogna creare lavoro o bisogna pensare al reddito minimo ?- e finalmente in quella risoluzione si dice che lavoro e reddito minimo sono entrambi strumenti di sostegno della cittadinanza ed è per questo che la Carta di Nizza ne parla e dice che il reddito minimo è un diritto sociale. Ed è per questo che noi insistiamo su questa scelta che non è una scelta banale, dicevo, e di riscrittura dell’impianto del welfare, perché noi non pensiamo che lavoro e reddito siano temi che debbano essere contrapposti, strumentiPag. 107appunto di inclusione, non pensiamo che con il reddito minimo si debba cancellare la previdenza pubblica – tanto per dirne una –, non pensiamo che il reddito minimo sia la chiave per cancellare gli ammortizzatori sociali, pensiamo a una riscrittura che abbia la libertà delle persone, delle donne, degli uomini, e la loro autonomia, al centro.
Allora, e concludo credo, per questa ragione noi abbiamo ascoltato le proposte che la Viceministra Cecilia Guerra ci ha avanzato. Intanto voglio dire che ho apprezzato la scelta di una lettura attenta delle mozioni per trovare ciò che unisce. Detto ciò, dico subito che noi accettiamo la riformulazione sui punti successivi, ma sul primo punto invece proporremmo noi al Governo un’attenzione a una nostra idea: per tutte le cose che ho detto prima, noi pensiamo che la cosa più importante sarebbe quella di dire che il Governo si impegna a sperimentare il reddito minimo in continuità con le risoluzioni europee di cui ho parlato prima, perché questo dà il senso di riportare questo Paese nell’ambito di quella Europa sociale, di quella cultura politica che si sta misurando in modo differente e combatte una guerra contro la globalizzazione e la povertà utilizzata come strumento contundente della globalizzazione. Per questo noi saremmo disponibili ad accettarla, ma questo è un punto assolutamente dirimente per considerare positivamente la richiesta della Viceministra.